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..dalla tradizione del salento

Quannu te llai la facce

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Quannu te llai la facce la matina
L’acqua ninella mia nu l’hai menare

Nu l’hai menare
L’acqua ninella mia nu l’hai menare

Ca ddhu la mini tie nasce na rosa
Na rosa e nu rusieddhu pe ndurare

mo pe ndurare
Na rosa e nu rusieddhu pe ndurare

Poi  vene le speziale te la scima
ne face meticine pe sanare

Mo pe sanare
ne face meticine pe sanare

Mo pe sanare le ferite mei
ca su d’amore e nu sananu mai

nu sananu mai
ca su d’amore e nu sananu mai

Quandu te llai la facce la matina è considerata la prima canzone in dialetto salentino musicata  riprendendo una poesia popolare molto nota, e creando un classico della canzone leccese, incisa da Tito Schipa  nel 1921 a New York.

1. Quandu te llai la facce è un caso emblematico di polimorfismo di traduzione (cioè la coesistenza, nello stesso brano o in brani simili, di differenti forme di trasmissione, nel caso specifico orale-scritto) che evidenzia quanto sia poco attendibile e artificiosa la distinzione in livelli (popolare, colto, semicolto, etc.) di un qualsivoglia testo.
Tracciamone brevemente la storia.
Inciso per la prima volta nel 1921 da Tito Schipa, (PathÈ, New York, col titolo Cuando te aai la faace -fu poi registrato dallo stesso Schipa a Milano nel 1936 col titolo Cuandu te llai la facce….-, rappresenta il brano capostipite della canzone dialettale leccese ed ebbe, nel Salento ma non solo, larghissima diffusione. [culturasalentina]

La prima domanda da porsi è dunque se questo brano sia da considerarsi popolare o colto, anonimo o d’autore.
Schipa, correttamente, lo ritiene tradizionale tanto è che dopo il titolo, fra parentesi, è specificato traditionale, nella versione successiva del 1936 registrata alla Scala, specifica che è un suo adattamento di un brano popolare.
La poesia dialettale dalla quale fu ripreso è, con molta probabilità, quella trascritta da Casetti e Imbriani nel loro Canti popolari delle provincie meridionali (Torino 1871).[culturasalentina]

Questo basterebbe a far pensare che sia una canzone propria dell’area meridionale d’Italia. In realtà così non è: Ermolao Rubieri nel suo Storia della Poesia popolare italiana, (Firenze 1877) raccoglie e trascrive diverse varianti del brano, diffuso un po’ in tutta Italia.

Oltre alla variante di Lecce e Caballino:

La ‘nnamurata mia se chiama Nina; / Nina e Ninella la voglio chiamare! / Cu l’acqua ci te lavi la matina, / Te pregu, Nina mmia, nu’ la menare; / Addu la mini nci nasce ‘na spina, / ‘Na rosa e ‘na rosetta ppe’ durare; / Nde passa lu speziale e nde la cima, / Medecina nde face ppe’ sanare”

che poi è quella riportata sul Casetti Imbriani, egli ne trascrive una versione siciliana, […] Si canta a Termini:

Oh, quantu è beddu lu nume di Nina, / Ca sempre Nina vurrissi chiamari / L’acqua ccu cui ti lavi la matina, / Bedda, ti pregu non la ettari: / Ca si la jetti ni nasci ‘na spina, / Nasci ‘na rosa russa ppi curari / Li medici ni fannu midicna, / La dannu alli malati ppi sanari”)una marchigiana”

Alcuni nello stesso paese sostituiscono i nomi di Rosa e Rosina a quelli di Nina e Ninella. […]. Con poche variazioni la cantano a Sturno nel Principato. Nelle Marche invece la cantano quasi tal quale:

E tu per nome che ti chiami Nina, / Sempre per Nina te voglio chiamare. / L’acqua che ti ci lavi la mattina, / Ti prego, Nina mia, non la buttare; / E se la butti, buttala al giardino, / Ci nascerà un bel giglio e un gelsomino; / E se la butti, buttala al giardino, / Che ci fa l’acqua rosa lo speziale; / Lo speziale ci fa acqua rosata, / Per guari’ Nina sua, quand’è malata”

Così si canta in Toscana:

Bella ragazza che ti chiami Nina, / Sempre Ninetta ti voglio chiamare / Coll’acqua che ti lavi ogni mattina, / Ti prego Nina Mia, non la buttare, / Che se la butti, ci nasce una spina, Ci nasce una rosetta…“

Una variante più breve e umoristica veneziana:

L’acqua che ti lavi el pèto e’l viso, / Te prego, bela, via no la buttare; / Le sarà bona a intemperar lo vino / Quando sarèmo a -tota per risanare-”

E, infine, una istriana, l’istriano accoglie l’idea veneta, ma la ingentilisce moltissimo:

Bela, cu ti te livi la mitina / Na sula grazia i’te voi demandare; / L’acqua che ti lavi el pianse viso, / Te prigo, bela mia, nun la butare; / Dàmela a mi, ch’intempero lo vino, / Quando ch’i vado a tavola a disanare; / E la tu acqua sarò frisca e clara; / Come la tu persona, anema cara”

[culturasalentina]

Immagine da [extraccademia]

Una delle interpretazioni che più mi ha emozionato è stata questa di Uccio Aloisi .

Autore: Mauro De Filippis

Laureato in Ingegneria Informatica nel 2008 presso l’ Università del Salento, Appassionato di Musica e di Musica Popolare, sono tra i fondatori del Gruppo Musicale e vicepresidente dell'Associazione Culturale AriaFriscA per oltre 15 anni impegnata nella rielaborazione e riproposizione della tradizione musicale Salentina. Studio Fisarmonica, adoro strimpellare gli strumenti della tradizione Celtica quali Tin e Low Whistle. Attualmente collaboro con i Tammurria e i SemiSparsi Per contattarmi potete usare la pagina Facebook di stornellisalentini.com Mi trovate anche su : Instagram by Mauro De Filippis e Youtube by Mauro De Filippis

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